Turisti o viaggiatori? L’arte perduta di sentire i luoghi
La bellezza autentica — che si tratti di una rovina etrusca, di un affresco o di un piatto tipico — resiste all’obiettivo. Non si lascia catturare. E così, mentre tutto viene documentato, nulla viene veramente vissuto. Questo è il nichilismo del turista: attraversare senza toccare, osservare senza comprendere. Il viaggiatore, al contrario, si muove con intenzione. È mosso dalla dromomania — dal greco dromos, corsa, e mania, impulso irresistibile — una forma di inquietudine creativa, simile a quella che animava Bruce Chatwin o Lawrence d’Arabia. Il suo viaggio non è fuga ma esplorazione, ricerca dell’altro e, attraverso l’altro, di sé.
Nel mondo veloce di oggi, scegliere la lentezza è un atto controcorrente. Il slow travel non è solo un ritmo, ma una filosofia. È ciò che permette di cogliere le sfumature, di entrare in sintonia con le culture locali. Come durante il Grand Tour dei secoli passati, si viaggia per comprendere, non per accumulare.
In Italia, questa lentezza è necessaria per apprezzare la complessità delle sue regioni: ogni borgo, ogni dialetto, ogni ricetta racconta una storia diversa. Ma lo stesso vale per l’Africa, l’Asia, l’Amazzonia o la Patagonia. Ogni viaggio può diventare un esercizio di ascolto e di attenzione.
Un piatto può condurre lontano. Come insegnava Anthony Bourdain, mangiare in viaggio è una via privilegiata per conoscere un popolo. Attraverso il cibo si accede a riti, gesti, storie. Ma anche i silenzi, i paesaggi, le architetture parlano. A patto che si rallenti, si osservi, si ascolti.
Viaggiare, allora, è assumere il punto di vista dell’altro. È un cambio di postura, uno spostamento interiore. E proprio in quel piccolo disorientamento, in quella perdita di coordinate, possiamo ritrovare noi stessi — arricchiti da un sapere che non è solo informazione, ma esperienza viva.
Serve oggi più che mai una nuova educazione al viaggio: non per vedere di più, ma per vedere meglio. Perché, come scriveva Proust, “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.” E allora, che si tratti di un tramonto sulla laguna o di un caffè condiviso, ogni momento può diventare epifania.
© Daniel Crusoe — Riproduzione riservata
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